lunedì 24 agosto 2009

L’Antimafia Pignorata

di Claudio Fava

Mer, 29/07/2009 - 07:07

Quando ammazzarono Giuseppe Fava, una sera di 25 anni fa, i ragazzi dei Siciliani provarono a immaginare come sarebbe stata la loro vita da quella notte in poi. Diversa, irrimediabilmente: lo capirono subito. E misero nel conto molte cose: dolore, fatica, solitudine e un giornale da tenere in vita a morsi. Nessuno di noi pensò che un quarto di secolo dopo lo Stato avrebbe presentato il conto economico di quella morte: 100 mila euro da pagare in moneta sonante per i vecchi e miseri debiti del giornale, riveduti e corretti da una sentenza del tribunale con il solito corredo di more e interessi passivi. Tre mesi di tempo per saldare, pena la vendita forzosa delle nostre case già pignorate per ordine dei giudici. Una di queste, ereditata dai suoi figli, è la casa in cui nacque e visse Giuseppe Fava.Anch'essa sotto sigilli, in attesa che sia fatta giustizia. Ora, il problema non sono questi denari: forse si potranno racimolare, è già partita una catena di indignata e stupefatta solidarietà che dimostra l'esistenza in vita di un'Italia civile, nonostante tutto. Il problema è l'insegnamento che ciascuno di noi dovrebbe trarne e trasmettere ai propri figli: cari ragazzi, se malauguratamente un giorno la mafia dovesse ammazzare vostro padre invece di affannarvi a proseguire il suo mestiere e la sua ricerca di verità mettetelo da parte, quel mestiere. Dedicatevi ad altro, andate via, rassegnatevi. Altrimenti, prima o poi, vi presenteranno il conto. Avremmo dovuto far questo? Seppellire Fava e chiudere i Siciliani? Quel grumo di ragazzi (io avevo 26 anni, il più vecchio andava per i 30) scelsero la cosa sbagliata: il giornale non si chiude, si va avanti senza pubblicità, rinunziando ai propri stipendi. Sull'editoriale del primo numero in edicola dopo l'omicidio scrivemmo: «Ci dispiace arrivare in edicola con qualche giorno di ritardo per cause che non dipendono dalla nostra volontà». Ecco: nemmeno la soddisfazione di squadernare in pubblico il nostro dolore gli regalammo.
Andammo avanti per molti anni. Stipendi zero. Pubblicità zero. Conservo ancora una cortese letterina del Banco di Sicilia, lo stesso istituto di credito indebitato per decine di miliardi con i cavalieri del lavoro e coi loro ruffiani politici, che ci diceva di non voler acquistare una pagina di pubblicità sui Siciliani al prezzo di 250 mila lire. Certo, quando devi tirare avanti così contando solo sulle copie vendute ti tocca far qualche debito: carta, tipografia, fornitori. Bene: quei debiti, rivalutati dall'aritmetica giudiziaria, sono diventati oggi quasi centomila euro. Venticinque anni dopo: vendete le vostre case. Qualcuno vorrebbe sentirselo dire: abbiamo fatto male, ragazzi, tanto valeva piegare il capo. E invece sono qui a dirvi che, se pur dovremo pagare per un fottuto puntiglio giudiziario questi soldi, se pure ci toccherà riscattare ancora una volta la morte di Giuseppe Fava, tornando indietro rifarei ciò che ho fatto. E lo rifarebbero tutti i miei compagni dei Siciliani. A cominciare da quell'editoriale, nel gennaio del 1984: ci dispiace per questi giorni di ritardo, il nostro lavoro va avanti….

Ps. Se qualcuno vuol dare una mano è aperta la sottoscrizione sul conto corrente della «Fondazione Giuseppe Fava», IBAN IT22A0301926122000000557524

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